martedì 30 giugno 2015

Taducendo Paquet

Non mi è capitato spesso di tradurre narrativa: per la casa editrice Mediterranee, con la quale festeggio in questo 2015 il ventennale della mia attività di traduttrice, ho tradotto soprattutto saggi, una buona palestra che tuttora mi diverte per le difficoltà da superare e mi affascina per il rigore che richiede e per questo non mi stancherò mai di ringraziare chi ha offerto una possibilità a una ragazza che amava il francese in modo viscerale ma era assai inesperta di traduzioni.
Non è capitato spesso, dicevo: in realtà la giusta definizione sarebbe “quasi mai”, poi è arrivato Francesco Verso, la Future Fiction – progetto ambizioso contenente tutte le caratteristiche che mi piacciono, compresa la possibilità concreta di migliorare il mondo, condividere idee, interlacciare culture diverse – è entrata nella mia vita in un periodo assai triste e difficile, ha portato aria fresca alla mia lettura e alla mia scrittura, alla mia capacità che pareva sopita di giocare con le parole, attribuendo loro il senso “calzante”. Questa lunga premessa era necessaria per farvi capire cosa ha significato per me tradurre La Regina d’Ambra di Olivier Paquet. Intanto c’era la sfida del vino: in un racconto apparentemente semplice, con una prosa musicale ma piana, senza la complicata fraseologia che contraddistingue i saggi coi quali ho a che fare solitamente, le viti e il vino (che - lo ricordo - sono uno dei motivi d’orgoglio della Francia) con la loro terminologia e gli incastri narrativi presenti nel racconto hanno reso estremamente stimolante sia la prima lettura che la mia opera di traduzione, poi c’era una scrittura sapiente, matura, quasi distillata (chi mi legge sa quanto amo questa parola per quel che rappresenta) pervasa da una musica, colori, odori, gusti e suoni che si cor-rispondono. E infine, ma non meno importante, il genere, la confortevole gabbia del genere, in questo caso la fantascienza speculativa, o per meglio dire, future fiction. 
La Regina d'Ambra su Amazon 

mercoledì 24 giugno 2015

Nico, Giannetto, stazione di Bologna

Alla stazione di Imola, mi viene a prendere Casadio: è l'amico di Giannetto - il padre di Nico. Il fatto che abbia lo stesso cognome di Ernesto, compagno di caccia al tesoro di quando ero ragazzina, campione di scacchi e vero comunista, dà a questo incontro qualcosa di familiare e anche se so che Ernesto non c'è più da tanti anni, tuttavia è solo la mia mente razionale ad essere informata della cosa, l'altra non ne vuole sapere. E del resto questo viaggio è ormai sintonizzato sull'onda dei ricordi. Mentre il cielo intorno a noi si tinge di nero e mi chiedo annoiata se pioverà, Casadio mi racconta delle sue ultime scoperte. "Nico dipingeva sulla carta da polli, vero?" mi dice e aggiunge: "Perché sotto le gabbie dei polli c'erano quei lunghi fogli di carta per raccogliere gli escrementi e lui la prendeva per dipingere, erano quadri lunghi anche 20 o 30 metri."
"Vuoi andare a casa di Nico?" aggiunge.
Resto interdetta per un attimo, la casa di Nico non era quella dove stiamo andando ora, è un'altra in campagna, quella dello studio pollaio, quella dove la madre Giulia confezionava coperte imbottite e materassi.
"Pensi sia il caso?" chiedo e poi resto in silenzio mentre vasti squarci di cielo si aprono intorno a noi.
In casa Giannetto, la badante polacca alle prese con le marmellate, un paio di nipoti; non capisco se il padre di Nico mi riconosce.
Lui ,seduto accanto a me sul divano, inizia a parlare di politica, dei comunisti che "i'a cambié nom" e continua parlando dei contadini che hanno cacciato i padroni e che poi "i'è dvinté lò i patron, sono diventati loro i padroni" traduce a mio uso e consumo, una gomitata sul fianco e ammiccando aggiunge "t'al sè 'e dialett?"
Sulla parete di fianco al divano troneggia la foto di Nico in bianco e nero che gli ha fatto Aquila. È un bel ragazzo di una ventina d'anni, il cranio scolpito dalla chemio, occhiali con la montatura di metallo rettangolare.
Penso a Baldo, chissà dove è ora. Al testamento.
Intorno alla foto di Nico, fissate sulla stessa cornice, ci sono una ventina di fotografie. Dice Giannetto: "Quelli sono i miei morti," più sotto c'è una specie di manifesto mortuario formato A4, la foto a colori di una donna in bianco e nero, già sull'orlo della morte. E' lei, Giulia. Non la riconosco nella foto, penso che non sono nemmeno riuscita a salutarla.
 Casadio torna, è ora di andare.
Vicino al Torrioncello c'è già un gazebo con le sedie pronte. I Bagnaresi arrivano a frotte, dal deserto che c'era prima, in pochi minuti lo spazio è pieno, riconosco qualcuno, vedo i sorrisi, vedo mio fratello Marco che arriva rombando da lontano, non trova parcheggio, entro in biblioteca e in basso su uno scaffale insieme a un solo volume un fantasy ci sono tre miei libri.
Arriva Roberto l'occhiale blu, uno sguardo un po' seccato sulle mie scarpe fuori tema; Ivana è felice di incontrarmi, ha un bel sorriso: mi ha vista lottare per un libro di Nico, mi ha vista imbiancare i muri della Biblioteca Comunale poi portare lì tutti i miei libri quando sono partita; Loretta ha ancor più gli occhi di una bambina curiosa; Giuliana ha il volto un po' rassegnato, come il ricordo di una sofferenza forse ormai lontana; Giuseppe con la moglie, le sta due passi avanti, lei sembra sperduta; Ciarli. si scrive proprio così, ha contribuito a finanziare questa serata, i ricordi non smettono di attanagliarlo, immagino, visto che è l'unico a essere rimasto qui.
Castor arriva quando il critico d'arte accanto a me ha già iniziato a parlare dei quadri di Nico. Mi alzo e lo vado ad abbracciare. E' lui che conosco di meno, anche se lo vedevo sempre sul pullman per Imola, e penso che mi piace, come mi piaceva allora. E' di Mordano, era amico di Betti, unico tossico che ho conosciuto a non aver mai approfittato di esserlo.
Parlo senza ascoltarmi,il calore del pubblico mi avvolge e mi fa sentire a mio agio.Di fronte a me, Giannetto ha gli occhi lucidi. Più tardi mi dirà che non ha sentito una parola di tutti i nostri discorsi. Sono stranamente calma. Dopo non avrei ricordato nulla di quello che ho detto. Tra tutti solo Castor parla, dopo che gli ho fatto finire di leggere un brano di Baldo su Nico.
Quando tutto è finito e l'aria si sta azzurrando siamo passati dalla casa di Andrea: Marco vuol salutare la sua amica Virginia, animatrice per il compleanno dei figli di quell'ex ragazzo che per primo mi parlò di Tondelli. Ha i capelli biondi che gli piovono sugli occhi come allora, ma tra occhiali capelli e barba non riesco a vedergli il bel volto. Mi abbraccia stretta, facciamo una foto insieme, mi regala un secchiello per bambini.
Oggi alla stazione di Bologna, aspettando il treno per Roma, guardavo i piccioni zoppicare un po'. Non volano volentieri, camminano. Camminano anche quando dovrebbero volare. Questi di Bologna hanno una bella livrea nera e sembrano anche un po' cornacchie.







sabato 6 giugno 2015

In ricordo di Nico. Bagnara di Romagna, 20 giugno 2015

Torno a Bagnara di Romagna in una veste importante, per ricordare Nico Piancastelli, l'amico morto di leucemia ma sempre vivo nella mente e nel cuore. 
 20 Giugno, amici miei carissimi ci vediamo a Bagnara