Non mi è
capitato spesso di tradurre narrativa: per la casa editrice Mediterranee, con
la quale festeggio in questo 2015 il ventennale della mia attività di
traduttrice, ho tradotto soprattutto saggi, una buona palestra che tuttora mi
diverte per le difficoltà da superare e mi affascina per il rigore che richiede
e per questo non mi stancherò mai di ringraziare chi ha offerto una possibilità
a una ragazza che amava il francese in modo viscerale ma era assai inesperta di
traduzioni.
Non è capitato
spesso, dicevo: in realtà la giusta definizione sarebbe “quasi mai”, poi è
arrivato Francesco Verso, la Future Fiction – progetto ambizioso contenente
tutte le caratteristiche che mi piacciono, compresa la possibilità concreta di
migliorare il mondo, condividere idee, interlacciare culture diverse – è entrata
nella mia vita in un periodo assai triste e difficile, ha portato aria fresca
alla mia lettura e alla mia scrittura, alla mia capacità che pareva sopita di
giocare con le parole, attribuendo loro il senso “calzante”. Questa lunga
premessa era necessaria per farvi capire cosa ha significato per me tradurre La
Regina d’Ambra di Olivier Paquet. Intanto
c’era la sfida del vino: in un racconto
apparentemente semplice, con una prosa musicale ma piana, senza la complicata
fraseologia che contraddistingue i saggi coi quali ho a che fare solitamente, le
viti e il vino (che - lo ricordo - sono uno dei motivi d’orgoglio della
Francia) con la loro terminologia e gli incastri narrativi presenti nel
racconto hanno reso estremamente stimolante sia la prima lettura che la mia
opera di traduzione, poi c’era una scrittura sapiente, matura, quasi distillata
(chi mi legge sa quanto amo questa parola per quel che rappresenta) pervasa da
una musica, colori, odori, gusti e suoni che si cor-rispondono. E infine, ma
non meno importante, il
genere, la
confortevole gabbia del genere, in questo caso la fantascienza speculativa, o
per meglio dire, future fiction.
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